mercoledì 11 marzo 2020

La confessione di Balduccio Di Maggio : "Ho ucciso anche da pentito"


PALERMO - Una confessione-bomba si abbatte sul processo Andreotti. Baldassare Di Maggio, il mafioso che ha descritto il bacio tra il senatore a vita e Totò Riina, ha continuato a uccidere anche dopo essere diventato un collaboratore di giustizia. "Balduccio" ha confessato che nel '96 sfuggì alla custodia delle forze dell'ordine e tornò a San Giuseppe Jato, per assassinare Giuseppe Carfì, 54 anni, uomo del superboss Giovanni Brusca.

La rivelazione del controverso collaboratore di giustizia è arrivata durante il processo che si tiene nell'aula bunker del carcere di Pagliarelli, nel quale Di Maggio deve rispondere di una serie di omicidi compiuti in concorso con Santo Di Matteo e Gioacchino La Barbera, anch'essi passati poi sotto la protezione dello Stato, entrambi imputati nel processo per la strage di Capaci, che costò la vita a Giovanni Falcone, alla moglie del magistrato, Francesca Morvillo, e agli uomini della scorta.

Di Maggio, che si è presentato in aula su una sedia a rotelle, molto dimagrito (soffre di una forma acuta di lombalgia), ha pronunciato però una confessione a metà. Si è rifiutato di fare i nomi di chi lo aiutò a scappare dalla scuola allievi carabinieri di Roma fino a San Giuseppe Jato. E non ha spiegato neppure chi gli fornì le armi, nonostante i suoi legali avessero anticipato una rivelazione completa. Il collaboratore ha chiarito invece il movente dell'esecuzione di Carfì, parente del boss Franco Di Carlo, avvenuta il 30 agosto di tre anni fa, sulla strada statale Poggio San Francesco-Altofonte. "Avevo paura che potesse uccidere i miei amici che già collaboravano la giustizia" ha detto ai giudici. E non ha perso occasione per rivendicare ancora una volta il proprio contributo all'arresto del superboss di Cosa Nostra Giovanni Brusca e del fratello Emanuele. E ha ribadito di avere costituito, fin dal '96, una rete di confidenti che faceva capo ad alcuni mafiosi di spicco.

Di Maggio ha sentito quasi il dovere di scusarsi con i giudici per quei delitti compiuti da pentito, ma ha detto, quasi con orgoglio: "E' giusto che voi ed il popolo siciliano ed italiano sappiate quello che Di Maggio ha fatto, perchè se io non avessi parlato ci sarebbero stati attentati a magistrati ed altro. Nessuno avrebbe avuto il coraggio di affrontare una storia simile, io l' ho fatto senza avere condanne, stavo tanto bene con mia moglie ed i bambini. Lo Stato mi passava uno stipendio, stavo bene, chi me lo faceva fare? Venivo da una storia massacrante e dovevo tornare a massacrarmi?".

Il movente del suo ultimo omicidio Di Maggio lo spiega facendo appello all'amicizia che lo legava ai suoi compagni di pentimento: "Mi chiamarono al telefono e mi dissero: 'noi ti abbiamo dato una mano e ci stanno facendo la pelle a tutti, ad uno ad uno, tu sei in dovere di aiutarci'. Per la mia dignità mi sentivo di aiutarli, perchè non potevo lasciarli da soli. Ho dunque sentito il dovere di scendere in Sicilia, andare ad Altofonte e sparare a Carfì, e mi sono messo a disposizione per qualsiasi cosa".

Non è la prima volta che un uomo di Cosa Nostra torna a uccidere anche da pentito. Tra i casi che finora avevano fatto maggior clamore c'è quello di Sebastiano Ferone, catanese, che sfuggì alla protezione per andare ad ammazzare la moglie del nemico giurato, Nitto Santapaola. Mai però un mafioso del livello di Di Maggio, coinvolto nel più importante processo sui rapporti tra mafia e politica, aveva confessato di essere stato un collaboratore a due facce. A disposizione della giustizia un giorno, killer il giorno dopo.

(4 ottobre 1999)


FONTE: https://www.repubblica.it/online/fatti/dimaggio/dimaggio/dimaggio.html

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