giovedì 19 aprile 2018

Mafia, 21 fermi a Trapani: colpita la rete dei pizzini di Matteo Messina Denaro.

L'indagine Anno zero della Dda di Palermo ha portato in carcere boss, fiancheggiatori e due cognati del super-latitante. Gli inquirenti hanno individuato il metodo con il quale il capo di Cosa Nostra, nascosto dal 1993, dava gli ordini agli affiliati. Le intercettazioni: "E' come Padre Pio". Poi le parole su Giuseppe Di Matteo e gli insulti al padre Santino: "Perché non ha ritrattato?". La scoperta: "Era in Calabria"





Per loro è “come un santo, come Padre Pio“. Così parla uno dei mafiosi fermati nell’operazione che ha colpito la rete di relazioni, criminali ed economiche, legate a Matteo Messina Denaro, il super-latitante di Cosa Nostra. È una delle intercettazionicaptate dalle microspie della Direzione distrettuale antimafia di Palermo nell’ambito dell’indagine Anno zero. L’inchiesta che ha portato al fermo di 21 tra boss e fiancheggiatori di Messina Denaro, e ha consentito di individuare la rete di smistamento dei pizzini con i quali il capo di Cosa Nostra latitante dal 1993 dava gli ordini agli affiliati. Ascoltando le conversazioni tra i fermati si sentono le frasi su Giuseppe Di Matteo – “Bimbo sciolto nell’acido? Ha fatto bene” – e si scopre che Messina Denaro “era in Calabria ed è tornato”.
Ci sono anche due cognati del boss tra le persone finite in carcere nell’operazione eseguita all’alba nel Trapanese da Carabinieri, Polizia e Direzione investigativa antimafia. Si tratta di Gaspare Como e Rosario Allegra, i mariti di Bice e Giovanna Messina Denaro. Secondo gli inquirenti, sono stati proprio loro a organizzare la latitanza di Messina Denaro cominciata 25 anni fa. L’indagine – coordinata dall’aggiunto Paolo Guido e da un nuovo pool di pm: Claudio Camilleri, Gianluca De Leo, Francesca Dessì, Geri Ferrara, Carlo Marzella e Alessia Sinatra – ha confermato sia il ruolo di vertice del boss sulla provincia di Trapani, sia quello delcognato, reggente del mandamento di Castelvetrano in seguito all’arresto di altri familiari. Pedinamenti, appostamenti e intercettazioni hanno ribadito come Cosa nostra eserciti un controllo capillare del territorio e ricorra sistematicamente alle intimidazioni per infiltrare il tessuto economico e sociale. 

Messina Denaro “era in Calabria” – Uno degli arrestati in una conversazione intercettata rivela che Messina Denaro “era in Calabria ed è tornato”. Chi parla aggiunge che il padrino di Castelvetrano avrebbe incontrato “cristiani” (persone). Sono in due a parlare, commentano il contenuto di un pizzino in cui ci sarebbero state scritte le decisioni del latitante su alcuni temi. Il biglietto non è stato trovato dagli inquirenti che intercettavano il dialogo: Messina Denaro ha ordinato ai suoi di distruggeresempre i pizzini. “Nel bigliettino è scritto lo vedi? Questo scrive cosa ha deciso, quello ha detto“. Dalla conversazione viene fuori che la madre di Messina Denaro si lamenta dell’assenza del figlio. “La madre di Matteo… che lui non scrive si lamenta, lui deve scrivere… vorrei vedere a te. Non gli interessa niente di nessuno”.

Le frasi sull’omicidio Di Matteo – Altra intercettazione, altro argomento. Gli intercettati parlano della vicenda del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito Santino, rapito, tenuto sotto sequestro per 779 giorni, ucciso e sciolto nell’acido nel 1996 per indurre il padre a ritrattare. La conversazione è del 19 novembre del 2017. “Allora ha sciolto a quello nell’acido, non ha fatto bene? Ha fatto bene“. Dice uno dei mafiosi poi fermati dalla Dda di Palermo. “Se la stirpe è quella… suo padre perché ha cantato?”, gli dà corda l’interlocutore. E il primo continua, esaltando la decisione di uccidere il bambino di 15 anni come giusta ritorsione rispetto al pentimento del padre, colpevole ai loro occhi di avere danneggiato Cosa nostra. “Ha rovinato mezza Palermo quello… allora perfetto“.
“Il bambino è giusto che non si tocca – aggiunge l’altro – però aspetta un minuto… perché se no a due giorni lo poteva sciogliere… settecento giorni sono due anni… tu perché non ritrattavi tutte cose? Se tenevi a tuo figlio, allora sei tu che non ci tenevi”. “Giusto! perfetto!… e allora… fuori dai coglioni – risponde ancora il primo – ricordati che una persona la puoi ammazzare una volta, ma la puoi far soffrire un mare di volte“.

Il boss “come Padre Pio” – “Vedi, una statua gli devono fare… una statua… una statua allo zio Ciccio che vale. Padre Pio ci devono mettere allo zio Ciccio e a quello accanto… Quelli sono i Santi”. E’ la conversazione tra due affiliati: così idolatrano Messina Denaro e il padre Francesco, capomafia di Castelvetrano morto nel 1998. Poi il paragone tra il boss super-latitante e la classe politica: “Voialtri tanto mangiate. State facendo diventare un paese… l’Italia è uno stivale pieno di merda… uno stivale pieno di merda… le persone sono scontente, questo voi fate, e glielo posso dire? Arrestami… che minchia vuoi?”.
Le accuse nei confronti dei 21 indagati sono, a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsione, danneggiamento, detenzione di armi e intestazione fittizia di beni. Tutti reati aggravati dalle modalità mafiose. Sono ritenuti affiliati alle famiglie mafiose di Castelvetrano, Campobello di Mazara e Partanna

Nessun commento:

Posta un commento

Visualizzazioni totali