mercoledì 18 febbraio 2015

La confessione choc dopo le parole del padre "Ero lì per lavoro, non volevo uccidere Aldo"

“Gli ho dato un calcio, ma non lo volevo uccidere. Giuro, giuro”. Ecco il drammatico epilogo dell'interrogatorio fiume del minorenne accusato di avere ucciso Aldo Naro, il giovane medico morto al Goa. L'indagato sostiene che si trovava in discoteca per lavorare come buttafuori


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Aldo Naro, il giovane medico ucciso in discoteca
PALERMO - “Gli ho dato un calcio, ma non lo volevo uccidere. Giuro, giuro”. Ecco il drammatico epilogo dell'interrogatorio fiume del minorenne accusato di avere ucciso Aldo Naro. Una confessione in cui giocherebbero un ruolo decisivo le parole del padre.

Il giovane, però, si difende. Non vuole essere dipinto come un assassino e lo dice in lacrime davanti ai pubblici ministeri che lo interrogano nel carcere Malaspina di Palermo. Non è stato, racconta, un omicidio, ma la folle conseguenza di una rissa in un'affollata discoteca. Una discoteca, il Goa, dove il giovane dello Zen non era andato a bere o a cercare rogne: “Io lì ci lavoravo”.

Faceva il buttafuori abusivo e le sue parole, se confermate, aprirebbero un nuovo capitolo investigativo. Il titolare della discoteca nulla sapeva del ragazzo. Lui, riferisce, si è sempre affidato ad una ditta specializzata. Eppure il giovane non è l'unica strana figura che popolava la disgraziata notte del Goa. Anche il figlio di un boss dello Zen lavorava lì. Anche lui senza che fosse stato autorizzato. Chi e perché li ha assoldati, forse la loro presenza serviva ad evitare l'arrivo di ragazzi male intenzionati?

Davanti ai pm Settineri, Bartolozzi (entrambe della Procura dei Minori) e Marzella il giovane racconta la sua verità. Che inizia fuori dalla discoteca. “Ero lì per lavoro, per non fare scavalcare le persone”. Un incarico da “40 euro a serata”. Ad un certo punto, quando sono già passate le tre “fa freddo ed entro nel locale”. Qui si accorge che qualcosa non va nel privè dove ci sono Aldo Naro, i suoi amici ed altri clienti. “Stavano litigando”, racconta il minorenne che si avvicina per fare il “mio lavoro” e sedare gli animi che si sono surriscaldati fra i tavolini dell'area riservata. “Mi avvicino, il ragazzo mi ha colpito". A quel punto, mette a verbale, reagisce ma non è stato lui a rompere con un pugno il setto nasale del giovane neolaureato in medicina.

Fin qui la prima parte del racconto in cui il diciassettenne incensurato nega di avere sferrato il calcio mortale che ha ucciso Aldo. Poi accade qualcosa. Forse il minorenne si è già convinto a dire la verità o forse sono le parole del padre a spingerlo a raccontare tutto. Sono parole indirette che i pm gli leggono mostrandogli il resoconto della testimonianza del genitore. È stato quest'ultimo a riferire di quel figlio rincasato alle 4 e mezza della notte, scosso per il “macello” che era successo in discoteca. A quel punto il diciassettenne confessa: “Sono stato io a dare il calcio, ma non volevo ucciderlo”. Un calcio che dice di avere sferrato mentre Aldo cadeva per terra inciampando sui gradini che separano il privè dal resto della sala. Il giovane medico, dunque, in base al suo racconto, non era ancora caduto quando lo ha colpito. L'indagato per omicidio doloso ricostruisce una scena di grande confusione, dove in tanti avevano alzato il gomito. “Erano tutti ubriachi”. Dipinge il clima di una rissa sfociata in tragedia. Nulla a che vedere con l'omicidio che gli viene contestato.

Questa la sua versione ora al vaglio del giudice che dovrà convalidare il fermo e decidere quale misura cautelare applicare. Il fronte investigativo è tutt'altro che chiuso. I carabinieri del Comando provinciale, guidati dal comandante Giuseppe De Riggi e dal colonnello Salvatore Altavilla, in queste ore continuano ad ascoltare persone. A cominciare dal figlio del boss che non ha assistito alla rissa. Bisogna innanzitutto accertare se il giovane indagato stia coprendo qualcun altro, anche se il suo racconto finora appare credibile. Ai pm Claudio Camilleri, Sirio De Flammineis e Carlo Marzella spetta il compito di individuare eventuali altre responsabilità. Se rissa c'è davvero stata, bisogna innanzitutto chiarire chi vi abbia preso parte. È il primo passaggio per verificare la bontà dell'intero racconto di colui che finora resta l'unico indagato.

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