mercoledì 4 maggio 2016

La doppia vita di Pino Maniaci: dalla lotta alla mafia alle estorsioni

Il direttore di Tele Jato era un paladino della legalità, accusatore di magistrati per la gestione dei beni confiscati. Ricattava i sindaci per far assumere la sua amante

 PALERMO - I cani glieli avrebbe impiccati il marito della sua amante. E per fare lavorare la stessa signora nel Comune di Borgetto avrebbe ricattato sindaco e consiglieri. Sarebbe questa la verità di una classica estorsione e di una storia di «femmine» maturate fra le pieghe di un impegno antimafia che ha visto per anni nei panni di un inflessibile paladino il direttore della piccola e combattiva emittente di Partinico, Pino Maniaci. Lo stesso implacabile accusatore di magistrati e amministratori finiti a Palermo sotto inchiesta per la gestione dei beni confiscati. A cominciare dalla ex presidente della sezione misure di prevenzione Silvana Saguto, intercettata a maggio dell’anno scorso con il prefetto: «Quando matura la cosa di Maniaci...?».

 

La truffa del «pubblicista»
Stavolta le intercettazioni sono tutte a carico di quest’altro simbolo dell’antimafia che cade sotto il sospetto di essersi inventato una parte delle intimidazioni mafiose. Una parte. Non dimentichiamo lo sfogo del boss di Partinico, Vito Vitale, soprannominato Fardazza, intercettato qualche anno fa in carcere a Torino: «Sta televisione si sta allargando troppo». Anche questo tassello deve aver pesato nel 2009 quando il Consiglio dell’Ordine dei giornalisti di Sicilia iscrisse come «pubblicista» d’ufficio Maniaci, editore e conduttore del Tg di TeleJato, nonostante i suoi precedenti penali: furto, assegni a vuoto, truffa, omissione di atti d’ufficio. Tutto considerato ininfluente e cancellato dal rinnovato impegno antimafia.
Divieto di soggiorno
Conteso da tutte le scuole italiane per raccontare la sua vita, le continue presunte minacce ricevute e la storia dei Cento passi di Peppino Impastato, modello al quale si ispirava, Maniaci adesso non potrà nemmeno soggiornare nel suo paese accusato di estorsione «per aver ricevuto somme di denaro e agevolazioni dai sindaci di Partinico e Borgetto onde evitare commenti critici sull’operato delle amministrazioni». Si tratta però di «cifre ridicole», come le ha definite lo stesso Maniaci la scorsa settimana, intervistato in Tv dalle Iene. Di volta in volta avrebbe «strappato» al sindaco di Borgetto e ad altri personaggi politici locali poche centinaia di euro, «pezzi da 100 o 150 euro». Il sindaco di Partinico Salvatore Lo Biundo e i suoi consiglieri si sarebbero addirittura autotassati pur di pagare lo stipendio all’amante di Maniaci, dopo un corso trimestrale non rinnovabile. E questo sempre per il timore di ricatti. Accusa pesantissima di un’inchiesta condotta dai carabinieri di Monreale e Partinico, sotto il diretto controllo del procuratore Francesco Lo Voi, dell’aggiunto Vittorio Teresi e dei sostituti Francesco Del Bene, Amelia Luise, Annamaria Picozzi e Roberto Tartaglia.
Caduta e vendetta
Una squadra di magistrati al completo proprio per le ovvie ripercussioni che la notizia può determinare all’interno di un pianeta antimafia che vede ormai cadere i suoi simboli uno dopo l’altro. Dal presidente della Camera di commercio Roberto Helg alle inchieste tutte da definire contro il presidente di Confindustria Antonello Montante e del vice presidente nazionale di viale dell’Astronomia Ivan lo Bello, inciampato nella storiaccia del porto di Augusta con il compagno della dimissionaria ministra Guidi. Nel caso di Maniaci le voci delle scorse settimane erano state clamorosamente smentite dallo stesso direttore parlando di una «vendetta» covata fra i magistrati dopo le accuse alla Saguto.
Solidarietà e onnipotenza
Le intercettazioni a suo carico sarebbero però precedenti al cosiddetto «caso Saguto» ufficialmente esploso solo nel maggio 2015. Ma è anche vero che Maniaci le sue battaglie (fondate) sulla gestione dei beni confiscati le cominciò un anno prima. Quando anche il prefetto Giuseppe Caruso denunciò gli stessi imbrogli. A prima vista sembra però che quelle denunce e le presunte estorsioni procedano su due linee parallele. Con un solo punto di incontro: l’amante e il marito tradito, disposto a impiccare due cani e bruciare l’auto di Maniaci. Storia dello scorso dicembre, quando su Tele Jato rimbalzarono le solidarietà di mezzo mondo e la telefonata di Renzi della quale parlava, ignaro di essere intercettato, il direttore-simbolo, travolto da un delirio di onnipotenza: «Ormai tutti e dico tutti si cacano se li sputtano in televisione... Ora tutti, tutti in fibrillazione sono, pensa che mi ha telefonato quello stronzo di Renzi».

 fonte: http://www.corriere.it/

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