Da San Giuseppe Jato manca ormai da vent'anni, ma il suo cuore è rimasto lì. Anche se la cittadina è ormai diversa da quella che ha lasciato. Non è più la San Giuseppe Jato dei summit e degli omicidi più efferati. È la città che ha fatto dell'antimafia un vessillo. Una tranquilla, o quasi, città di provincia. Forse è per questo che Giovanni Brusca, l'uomo che azionò il telecomando della strage di Capaci e quattro anni dopo ha iniziato a collaborare con la giustizia, ha deciso di farsi sistemare una bella casa a San Giuseppe Jato.
Non ci sarebbe niente di male. Potrebbe anche diventare un segno di speranza: Brusca che fra qualche anno ritorna in una Sicilia senza più mafia, dopo aver pagato il suo debito con la giustizia. Ma quella casa è diventata un'imbarazzante miscela di opere non proprio regolari e il pentito Giovanni Brusca è finito indagato per abusivismo edilizio. Il pubblico ministero Enrico Bologna ha già completato le indagini e al netto di qualche prescrizione ha deciso di citare a giudizio l'ormai ex boia di Totò Riina, oggi collaboratore di giustizia.
La ristrutturazione abusiva di casa Brusca ha creato non pochi imbarazzi in questi mesi all'antimafia. Anche perché ampliando quell'abitazione e sistemando le pertinenze annesse sarebbe stato chiuso con un cancello un vicolo di San Giuseppe Jato.
Tutto comincia quattro anni fa, quando alla procura di Palermo arrivano delle segnalazioni su alcuni movimenti del pentito durante i suoi permessi premio: dovrebbe incontrare solo i familiari più stretti, invece i suoi incontri sono molto più estesi. I pm incaricano i carabinieri del nucleo investigativo del gruppo Monreale di iniziare a intercettare il pentito. E nel settembre 2010, scatta anche una perquisizione nella cella di Brusca. Si ipotizza che il pentito abbia una tesoretto nascosto e che addirittura abbia inviato una lettera dai toni perentori a un suo presunto prestanome, per riavere indietro alcuni appartamenti. Accuse da cui Brusca viene scagionato dal tribunale di Palermo, al termine di un processo per il reato di violenza privata.
Ma durante la perquisizione in carcere salta fuori una pen- drive, che ogni tanto entra ed esce attraverso un avvocato. Non c'è dietro alcun mistero, alcun complotto di falsi pentiti. Attraverso quella pendrive Brusca fa arrivare le sue disposizioni per la ristrutturazione in corso nella casa a San Giuseppe Jato. E gli operai che lavorano per lui gli fanno avere le foto di quanto realizzato. Sempre attraverso la pendrive.
Così, scatta l'inchiesta per abusivismo edilizio. Intanto, in quei giorni, c'è grande fermento fra le procure siciliane e la procura nazionale antimafia. Per quelle riunioni familiari un po' troppo allargate, per quella pendrive che viaggia con troppa disinvoltura, Brusca rischia il programma di protezione. Ma, alla fine, viene perdonato. Perché le "violazioni comportamentali" al programma di protezione vengono archiviate senza ulteriori conseguenze.
Resta l'inchiesta e ora il processo per abusivismo edilizio, che Brusca - come tanti altri anonimi imputati da Trento
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